– Una settimana fa ci sono stati cinque colpi diretti, oltre la sala caldaie.
La visita all’ospedale di Pervomajsk ci ha lasciato l’impressione più forte di tutto ciò che ho visto a Donbass. Ed anche l’impressione più terrificante e pesante.
All’ingresso principale dell’ospedale c’è una giovane infermiera.
– Chi volete vedere?
– Abbiamo portato gli aiuti umanitari. Avete delle persone nel rifugio?
Lei sorride.
– Noi viviamo qui. Avete bisogno di Nikolaj Aleksandrovich?

Ci accompagnano nelle stanze vuote dell’ospedale. Sembrano assolutamente nuove – le mura sono pulite, gli spazi sono rifiniti con piastrelle. Non hanno niente a che fare con il mondo attorno.
All’orizzonte compare Nikolaj Aleksandrovich. Prima è stato il capo del servizio sanitario pubblico della città e adesso sostituisce il medico primario, il quale se n’è andato.
Ci presentiamo, stringiamo le mani, consegniamo gli aiuti.
– Volete una visita guidata?
La sua voce è stanca, ma sorridente. Nascondo gli occhi. Una visita guidata. Da queste parole mi stringe la gola. Mi vergogno.
Passa un medico, basso, con uno stetoscopio. Si vede che è impegnato. Nikolaj Aleksandrovich lo presenta.
– Questo è il mio amico, il mio fratello, un compagno. Tutta la guerra è con noi. Sta sull’ambulanza durante ogni bombardamento. Tira fuori le persone da sotto le macerie. Il nostro pronto soccorso…
Cerco di ricordare il suo viso.
– Posso farLe una foto?
Imbarazzato ritrae lo sguardo.
– Va bene…
– Non avete paura di venire? Ci martellano in continuazione.
Lui fa una pausa, come suggerendoci di ascoltare. Nell’edificio l’arrivo dei missili non si sente, ma ci sono di sicuro, anche se lontano.
– Si, abbiamo paura.
Ridono.
– I giovani vengono. C’è stata qui da noi una missione dell’OSCE. Quando hanno iniziato ad arrivare i colpi, loro sono scappati in cinque minuti. Dico – rimanete, vi faccio vedere che cosa è stato fatto con l’ospedale. E loro rispondono: no, grazie. Questa è l’OSCE.
E si mettono di nuovo a ridere.

Andiamo avanti come dei fantasmi, dissolvendo nei corridoi vuoti che prima erano pieni di vita…
Cerco di non stare troppo indietro a Nikolaj Aleksandrovich
– E i pazienti adesso dove sono?
– Una settimana fa ci hanno bombardato e la gente è stata evacuata all’ospedale di Stakhanov, ma questi giorni ricominceremo a ricevere i pazienti.
– Ho sentito che ci sono stati cinque colpi?
– Il reparto ostetrico è stato colpito ancora 6 settimane fa. E adesso sono stati colpiti cinque reparti – pediatria, cardiologia, reparto malattie infettive, urologia…
– C’erano tante persone?
– Parecchie. Principalmente anziani. Nel reparto pediatrico c’erano dei bambini…Andiamo al primo e secondo piano, vi faccio vedere. Ecco, vedete? Uno è arrivato direttamente da sopra. Insieme con la soffitta. Dopo il primo colpo sono uscito fuori, tre minuti dopo che sono rientrato c’è stato un altro colpo. L’edificio si è scosso. E qui il colpo è arrivato in una camera.

Quando è arrivato il primo missile, in quella stanza uno dei nostri medici stava ricevendo i pazienti. È vivo per miracolo. Potete immaginare come si sentiva?
Tutti i missili sono stati portati via, alla piazza centrale, sotto il monumento di Lenin.
– Quando stavano bombardando avevamo 11 persone trattato con trazione transcheletrica. Chi con le braccia, chi con le gambe.

Noto che nelle camere colpite le mura sono riparate alla meglio, con quello che poteva trovarsi.
– Abbiamo chiuso quasi tutti i buchi per non perdere il caldo. Domani la cardiologia si riavvia.

– E voi dove vivete?
– Io?
Nikolaj Aleksandrovich fa finta di non sentire. Gli impiegati lo circondano e parlano della sala caldaie. Quella dov’è arrivata la mina durante il bombardamento.
– Io vivo nel mio studio. Quasi tutti noi viviamo qui. Adesso è tranquillo, tutti sono andati per i fatti loro, ma verso la sera si raduneranno. Molti sono rimasti senza casa. Andiamo nel sotterraneo, vi faccio vedere come viviamo.
Per strada incontriamo un giovane ragazzo .Nikolaj Aleksandrovich reagisce subito:
– Questo è Artiom, un futuro accademico. È chirurgo.

Penso che Artiom sia mio coetaneo. Sopra la divisa di medico ha un giubbotto. Nell’edificio non hanno ancora acceso il riscaldamento. Fa freddo. È stato qui tutta la guerra, non se n’è andato. Artiom e Nikolaj Aleksandrovich ridono:
– Artiom è un futuro luminare di medicina. Ma quanto ci piacerebbe fare degli interventi pacifici!
– Già, poco fa abbiamo avuto un’ernia – quanta gioia! Se no, tutti feriti dalle schegge…
Artiom vive nell’ospedale e dorme direttamente nella sala medici. Nikolaj Aleksandrovich alza minacciosamente le sopracciglia:
– E quando c’è un bombardamento, non scende mai nel rifugio. Dice sempre: “Tutto è nelle mani del Signore”. Ecco com’è fatto. Non è andato via. Tutta la guerra, 7 mesi sotto i bombardamenti continui…
Cerco di ricordare anche il suo viso. È così giovane, chiaro, sorridente. Di nuovo mi si stringe la gola e non trovo le parole.
Mamma mia, quanto è giovane.
Tutta la guerra.
Scendiamo nel rifugio e si sente un forte profumo di zuppa. Buono.
– Queste sono le nostre ragazze, l’anestesista e la cardiologa.
Cerco di ricordare ognuna di loro, guardare nei loro occhi.
Loro ridono, sorridono, immaginate?

Molte, ovviamente, sono andate via. Sono rimaste poche.
– Abbiamo una ragazza, come Lei, giovanissima. Anche lei vive e lavora qui. Non è partita. Fa il suo dovere, è ecografista. Riceve i suoi pazienti direttamente qui.
Passiamo per le stanze sotterranee. Ci sono delle persone – pazienti rimasti senza tetto. Ci sono dei bambini.
– Siamo civilizzati qui – guardate, c’è la TV!
Le giovani mediche ridono.
– Nell’ospedale sono morte 81 persone, e i feriti non si possono nemmeno contare. Una volta stavamo facendo contemporaneamente otto interventi, uno di loro era un bambino. Erano tutti civili. E tutto ciò con il rumore costante dei Grad e delle mine che cadono. Anche i nostri ragazzi sull’ambulanza lavorano sotto ogni bombardamento. Ma non se ne vanno dalla città. Tutta la guerra stanno qui.
Ha ripetuto “civili” due volte, come se avesse paura di non essere compreso correttamente.
– Ho sentito che sono morte 500 persone, tutti civili, in tutto il periodo.
– Io parlo solo di chi è stato portato da noi. E gli altri sono trasportati direttamente alla polizia scientifica, non è il nostro reparto.
– Bombardavano specificamente l’ospedale? Perché i colpi sono diretti.
Non ci sono obiettivi strategicamente importanti, a parte il quartiere residenziale, nelle vicinanze. Non c’è niente.
Nikolaj Aleksandrovich non mi ha sentito. Oppure ha fatto finta di non sentire.
Lo seguo e mi sembra che sono in una realtà parallela. Mosca non c’è. Non c’è la mia casa, né il mio lavoro, non c’è niente.
Oh Signore, che sta succedendo?
C’è solo questo ospedale. Ci sono solo queste persone. UOMINI. EROI.
Quante persone come me vengono qui per le “visite guidate”?
Vengono, guardano, vengono impressionati?
Allargano le braccia. Stringono le mani.
E vanno via.
E questi rimangono. E fanno il loro lavoro. Guidano le macchine sotto bombardamenti.
Tutta la guerra.
Nikolaj Aleksandrovich.

4 marzo 2015